CASA MINIMA

Un piccolo intervento di recupero mi permette di rievocare una bella lezione di architettura ricevuta nel 2002 durante il PHD nella Universidad Politecnica di Barcellona. Devo dire che all’epoca rimasi stupita del fatto che Antonio Armesto, docente di  Proyectos Arquitectónicos, avesse voluto dedicare buona parte del suo discorso al racconto della cucina di sua nonna. Tempo dopo ne ho capito e apprezzato pienamente il senso che in breve riassumo così: in una porzione limitata dello spazio domestico è condensato il significato dell’abitare, ovvero di quel legame che la vita stabilisce con lo spazio.

Lungo un’unica parete della cucina si avvicendavano camino, forno e fornacella, lavello e lavatoio, pendevano ganci, piattaia e stenditoio, l’ambiente era completato da un tavolo in legno con madia e una dispensa. Ogni attività necessaria all’esistenza era assolta senza sperpero di spazio-movimenti-energia: accogliere, scaldarsi, cuocere il pane, cucinare, fare acqua calda, lavare e lavarsi, essiccare, asciugare il bucato. Uno spazio lineare rispondeva al ciclo vitale che alterna ricevere, preservare, provvedere, conservare, consumare.

Ovviamente la cucina in oggetto non differisce da quelle che ancora si trovano in molti contesti rurali, ma quella ha assunto per me il valore esemplare che aveva nella lezione di Armesto. Nelle abitazioni contadine nulla risponde al caso, non c’è spreco né ricerca estetica vana, la bellezza è data dalla necessità. Nessuna dissipazione di spazio, tempo, risorse: un principio a cui dovremmo tendere tutti.

Casa minima ha una superficie utile di 5,50 x 4,50 metri, è stata recuperata al disuso e arredata esclusivamente con oggetti e mobili di recupero, viene utilizzata per poche settimane all’anno, risponde alle esigenze abitative in ogni stagione, ha tempi di manutenzione e gestione molto ridotti.

Progettazione e direzione lavori: arch. Taryn Ferrentino