Disvelamento nasce dall’incontro di tre donne: le artiste Sara Cancellieri e Rossella di Micco e la loro musa ispiratrice Tecla, performer. Nelle opere di Sara e Rossella ci troviamo spesso di fronte al corpo femminile, rappresentato in modo diverso, con la stessa intensità. In questa occasione il lavoro delle due artiste si è intrecciato, a tratti sovrapposto, facendo cedere a entrambe un po’ della propria espressività per generare qualcosa che è più del semplice accostamento delle loro opere.
Se l’imponente corporeità che abitualmente colma gli acquerelli di Sara la ritroviamo questa volta alleggerita e rarefatta, la lieve figura che popola l’immaginario fiabesco delle fotografie di Rossella si manifesta ora in fattezze più composte. La figura di Tecla in kimono si fa artefice della contaminazione: vestendo panni di geisha si tramuta, come vuole il significato letterale del termine, in “colei che si dedica alle arti”. Lo fa incarnando leggerezza e misura sia nelle opere che nella performance che completa l’evento.
Più che rimandare alla cultura giapponese il kimono assume qui il ruolo di un mantello magico che come in un gioco di prestigio riesce a ingannare la realtà, disvelandone la parte più intima. Diviene così possibile duplicare il corpo per rivelarne l’anima, farlo apparire ieratico e solenne per mostrarne la spiritualità, denudarlo per esibirne il pensiero, farlo evaporare in una nuvola di fumo per sostenerne la leggerezza. Il kimono è una doppia pelle che anziché coprire svela, permette l’affioramento della componente più profonda: quella porzione di emozione, commozione, inquietudine, confusione che forma tutta parte del corpo anche se invisibile. Interno e superficie come trama e ordito tessuti assieme in un unico filo vermiglio. Compiuto il disvelamento carne e spirito stanno. Indivisi e irriducibili, parti di un unico tutto che è il corpo.







ROSSELLA DI MICCO
Rossella non si sente una fotografa, lo è per una questione di tempo e di spazio. La fotografia è pesante di realtà, dice, e va modificata a forza di sottrazione per avvicinarla alla sua idea di rappresentazione. Non c’è solo un ideale estetico dietro quest’operazione quanto una tensione profonda verso un modello di vita. La sua personale ricerca di perfezione che coincide con la conquista della levità. Le donne ritratte sembrano suggerirci che si può vivere in modo delicato e inoffensivo, senza lasciare impronte, senza provocare sofferenza. Così quei corpi, che talvolta prendono le sue sembianze, sono sottili, diafani, quasi evanescenti, a tratti ridotti a vapore come annebbiati dal respiro che si sofferma su un cristallo o nascosti da un telo come un cristo velato, ma non privi di vita.
Silenzioso testimone di un vivere innocuo, il corpo, viene sottratto della materia organica nel tentativo di cancellarne il dolore, immerso in un immaginario fiabesco privo di carne e di sostanza morbosa, reso esangue e pallido nell’incarnato celeste da cui affiorano vermiglie tracce di flusso vitale. Il rosso non è però mai sangue, celebra l’esistenza e il sentire attraverso i sensi: la bocca le mani gli occhi, piccole vampe come stati di coscienza. Un corpo con meno materia è per Rossella più vicino all’idea di spirituale, concetto che non ha mai a che fare con una religione ma con la consapevolezza, con la libertà di pensiero, con la capacità di sentire e di emozionarsi. La lieve figura che si manifesta talvolta come un sogno dai contorni imprecisi e fluttuanti o diversamente serafica e composta nei panni e nelle movenze di una vestale, ci invita ad una riflessione profonda che ci renda più consapevoli, e quindi liberi, sulla possibilità di conquistare la leggerezza.
Divenire leggeri riguarda il rapporto con la natura nelle molte forme. Natura che ci viene offerta allo sguardo in ogni rappresentazione, talvolta affidata a lunghe dita che la custodiscono come una preghiera. Natura che si fa corpo nell’occhio seducente di cavallo, nella rotondità gravida del melograno, nei racconti celati dallo sguardo di cane, nella radice che è sempre vita, nella sapienza della tela di ragno, nell’intreccio di rovi che disegnano storie, nella meraviglia del volo, nella levità della piuma raccolta dal vento. Natura che ci invita a desiderare un nuovo equilibrio più consapevole, delicato come una lieve armonia.
SARA CANCELLIERI
Nelle opere di Sara brani di possenti immagini emergono da un fondo bianco. Se non sapessimo che il foglio supporta il dipinto lo crederemmo sovrapposto alle figure che prima erano intere. Ma più che superficie, tela e carta sono volume, utilizzate al pari di blocchi da cui vengono cavate forme, lasciando volontariamente una massa incompiuta. Lo sfondo non è quinta ma materia, sostanza organica, liquido amniotico. La materia lattiginosa del fondo, spessa come coltre di nebbia, appanna la pienezza dei corpi, è sostanza vischiosa che ne inghiotte parte diventandone parte. Le figure colano in rivi sciogliendosi in lunghi tentacoli, penetrano e si fanno penetrare dalla sostanza di cui sono prolungamento. Come fluido che non è in grado di conservare la propria forma se non contenuto, figura e fondo si incorporano, l’una parte dell’altro, privati del proprio contorno conquistano quello dell’altro.
Il tutto pieno che ne risulta è corpo carne placenta vita. Ogni essere o oggetto rappresentato è fatto della stessa materia carne: donne uomini animali insetti fusi l’uno all’altro e al tutto per stabilire legami fragili e mutevoli nei quali coesistono creazione e distruzione. Tutto è accomunato dalla stessa carne dentro un gioco di affinità e sopraffazione: la voluttà del corpo femminile affiancata alla presenza mite di un animale da macello o a quella inquietante di enormi piovre, preservata da animali inoffensivi o sfiorata da urticanti meduse. Un cane rabbioso che si prepara all’attacco e un’arma hanno la stessa consistenza di corpo che li rende simili: pronti ad offendere ma così innocentemente umani. Finanche gli insetti ci risultano affini, uniti nell’atto della riproduzione.
Ogni animale o cosa sembra poterci somigliare in un rincorrersi di concordanze e corrispondenze dove tutto si uguaglia e perciò tutto si confonde acquistando una fisionomia incerta. Applicando la stessa pelle a tutti gli esseri, Sara, ci fa riflettere su quanto sia preponderante sulle altre l’azione umana e su quanto possa essere distruttiva la nostra stessa esistenza. La realtà che qui si rappresenta è forzatamente uniforme e se questo ce la rende maggiormente comprensibile, non ne estingue la molteplicità. La compresenza di opposti e elementi discordanti, infatti, ci ricorda che tutto è sottoposto a tensioni simmetriche le quali fintanto che perdurino in equilibrio si autosostengono. L’autrice sembra però propendere per una distruzione rigeneratrice che ci riporti ad uno stato più naturale, alcune specie in riproduzione sono già pronte per salpare sull’arca di Noè…