“CHI FRAVECA E SFRAVECA, NUN PERDE MAJE TIEMPO” letteralmente chi costruisce e demolisce non perde mai tempo o più sinteticamente chi fa e disfa non perde tempo.
Anni fa mi risultava difficile comprendere il significato di questo detto, anche (e soprattutto!) considerata la proverbiale pigrizia dei napoletani mi sembrava inverosimile che qualcuno potesse ritenere produttivo tale comportamento.
Non si tratta però della versione partenopea dello stratagemma della tela di Penelope, ma a mio parere di un’esortazione alla trasformazione, al non fermarsi a ciò che già si possiede o conosce ma a cercare sempre il miglioramento, che si ottiene soltanto con il tempo dell’esperienza.
Nel mio mestiere è frequente ascoltare qualcuno rammaricarsi: “la casa bisognerebbe farla almeno due volte!”, ma ciò non dipende tanto dai possibili errori progettuali quanto da una necessità del tutto connaturata all’uomo.




La casa cresce e cambia con noi, e questo lo sapeva molto bene la cultura contadina: quando nasceva un figlio, un parente si aggregava al nucleo familiare o rinnovate esigenze di spazio lo richiedessero, si aggiungeva una stanza alla casa semplicemente addizionandola all’esistente. Le case rurali erano così organismi vivi e mutevoli che si trasformavano con la vita di chi le abitava.
(Tristemente, almeno qui al sud, i fondi per la ricostruzione del dopo terremoto del 1980 hanno interrotto questa consuetudine, facendo sì che si costruissero edifici molto più grandi delle reali necessità, oggi enormi scheletri disabitati).





Dunque è vero: la casa bisognerebbe farla più volte nella vita, almeno tutte le volte che la vita lo richieda. Questo non vuol dire demolirla e ricostruirla ogni volta, ma saper operare quelle trasformazioni che la rendono adatta alle rinnovate necessità e che corrispondono al prendercene cura.
Ma come e quanto è possibile trasformare la nostra casa?
Alcune regole generali quando si abbia ancora la possibilità di scegliere la conformazione dello spazio possono essere queste:
– le forme nette come una pianta rettangolare o quadrata sono preferibili a quelle frammentate e irregolari perché riescono ad accogliere meglio i cambiamenti
– più comunicazione fra gli ambienti interni e fra l’interno e l’esterno della casa permettono una maggiore fluidità ed intercambiabilità degli spazi, mentre disposizioni con una gerarchia troppo strutturata risultano troppo vincolanti
– meno è definito lo spazio più è flessibile ed adattabile ai mutamenti della vita.
Quali sono invece gli interventi possibili su spazi prestabiliti?
L’arredamento anche quando non disegnato su misura è sempre implicito nel progetto architettonico, nel senso che le dimensioni degli arredi rappresentano una verifica dell’adeguatezza dello spazio alle esigenze abitative. Quest’operazione preliminare non deve però costituire un vincolo alle future trasformazioni.
Riporto qui alcune considerazioni che possono guidare nelle scelte al momento di arredare casa e risultare utili nel tempo quando la si voglia modificare:
– una casa tanto finita da essere immodificabile ha poca possibilità di essere vissuta veramente perché non contempla il cambiamento
– ambienti con pochi arredi (preferibilmente uno o due mobili per ambiente) sono da preferirsi a quelli in cui lo spazio è saturo e non riesce ad essere includente verso nuovi oggetti
– gli arredi su misura sarebbero da evitare perché poco adatti ad essere utilizzati in nuove disposizioni.
Per prenderci cura della casa nel tempo dovremmo quindi contemplare ambienti passibili di alternative, prepararli al cambiamento e alla sostituzione delle parti, sempre aperti all’introduzione del nuovo, dovremmo essere poi capaci di restituire nuova vita ad arredi e oggetti. Per curare la nostra casa dovremmo pensarla in continua trasformazione.
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