INSTALLAZIONE INVERNARIO (paesaggio sensibile)

In “Les cinq sens” (Parigi, 1985) Michel Serres riconosce nella pelle il “luogo comune” della sensibilità, la superficie ricettiva e palpabile su cui si incistano, in forma attenuata, tutti gli altri sensi: Ogni organo dei sensi, insulare, forma una singolarità densa sul piano cutaneo, diluito. L’isola si tesse con la stessa tela della tela di fondo, ogni organo dei sensi si invagina nella stessa pelle, estesa intorno dappertutto. Il senso interno si drappeggia nella sua tenda, nuovo velo, nuova tela, stesso tappeto e stessa pelle, il senso interno si vela di pelle. (Serres, 1985). Ho recuperato questo testo a marzo ’22 durante l’elaborazione del progetto espositivo per INVERNARIO, evento e mostra di arti visive che, nel rarefatto spazio pubblico post pandemico, avrebbe provato ad aprire un ragionamento collettivo sul collasso ambientale. Nel momento in cui mi appariva ormai evidente che i periodi di confinamento avrebbero lasciato come scoria difficilmente estinguibile la contrazione delle relazioni agli ambienti privati della casa, divenuta organo aggiuntivo o inspessimento artificiale della stessa pelle, il testo di Serres mi indicava come l’astensione dal contatto poteva rappresentare uno smarrimento per tutti i sensi, non solo per il tatto.

La pelle, organo periferico esteso e sottile come un confine, che come tale è luogo di unione e contaminazione, conflitto e limitazione, che determina il corpo e di conseguenza l’altro da esso, è per Serres lo spazio relazionale per eccellenza, la superficie di aderenza tra sensi e mondo. L’occasione di concepire un dispositivo espositivo si è trasformata, dopo l’incontro con Les cinq sens, in un modo concreto per ragionare sulla dimensione relazionale dello spazio, su quella parte smarrita assieme alla percezione sensuale (ed empatica) del fuori da noi. La pelle, organo sensorio che definisce la relazione tra noi e il mondo, avrebbe orientato e significato il progetto, immagine primigenia e materia espressiva.

Pensare la pelle come tessuto relazionale, come membrana che divide e unisce, delimita e mette in comunicazione interno con esterno, pensarla come organo che permette il contatto e la prossimità, mi ha fatto concepire il progetto in termini topologici prima che geometrici. Uno spazio topologico non è statico, ma si produce dinamicamente definendosi attraverso la relazione e modificandosi in consonanza con le circostanze, ciò da un punto di vista compositivo equivale a concepire l’architettura più come un paesaggio che come un ambiente, a pensarla come entità variabile che entra in risonanza con i sensi e le sensazioni di chi la percorre, durante il tempo in cui la percorre. Se l’ambiente circoscrive staticamente, il paesaggio amalgama dinamicamente, l’uno sta all’altro come il milieu sta al mélange ancora nel testo di Serres: Mélange dice meglio di milieu. Il milieu, troppo geometrico, è di scarsa utilità: centro in un volume, se si riduce a una intersezione, o il volume stesso, se tende all’accerchiamento. Punto o totalità, singolare o quasi universale. Concetto contraddittorio e senza agilità. […] Milieu, astratto, denso, omogeneo, quasi stabile, si concentra; mélange fluttua. Milieu fa parte della geometria solida, come si diceva un tempo; mélange favorisce la fusione e volge al fluido. Milieu separa, mélange mitiga: il milieu fa le classi e il mélange gli ibridi. (Serres, 1985).

Mentre si percorre un paesaggio le località scorrono in un flusso omogeneo, amalgamandosi e invischiando il tempo in questa miscela. Gli organi della vista, più adatti alla selezione e all’analisi, rimangono disorientati dall’eccesso di segni e si arrendono a quelli del tatto, maggiormente inclusivi:  sulla pelle si scrive la sequenza dei luoghi intanto che il paesaggio incorpora il soggetto e lo fonde a sé. Il paesaggio non è quindi soltanto il luogo dove avviene la mescolanza, il mélange, ma il mélange stesso. In questo senso fra paesaggio e soggetto si stabilisce una collaborazione, un’ibridazione, che trasforma il paesaggio da oggetto dell’osservazione in soggetto che produce sé stesso, in concomitanza con chi lo percorre. Utilizzando la pelle come immagine guida ho cercato le qualità relazionali ed empatiche dello spazio (il prodursi dello stesso in rapporto a, ma anche nel rapporto con) contenute forse in quella dimensione collaborativa che si stabilisce con e dentro il paesaggio. La forma del progetto si è andata a partire da ciò progressivamente sostanziando nel duplice dialogo fra il fuori del contesto urbano e il dentro delle opere da esporre:

– il contesto è l’area in trasformazione delle ex Officine Reggiane, ancora in bilico fra l’immaginifica marginalità di una periferia e la stabile prospettiva di un centro contemporaneo, dove è possibile sperimentare dimensioni difformi da quelle della città storica, facendosi disorientare dalla dilatazione dei vuoti e attrarre dalla mole degli edifici industriali.

– le opere per la collettiva di arti visive INVERNARIO, pervenute attraverso una open call lanciata da questo sito, rappresentano lo sguardo di circa 20 artisti chiamati a riflettere su ciò che del mondo come lo conosciamo si vorrebbe trasmettere alle prossime generazioni, nel momento in cui lo stiamo definitivamente perdendo.

Il progetto si è andato quindi definendo nella tensione fra il voler essere parte di un paesaggio dispersivo, perché in costante riproduzione, e la necessità di dare vita a un paesaggio immersivo, collaborante con chi lo percorre. Con la vulnerabilità di accadimento temporaneo e l’intenzione di una capsula lanciata nel presente in permanente rimozione, cui chiedere un tempo di attenzione, il dispositivo ha assunto l’autonomia di un’installazione: sette padiglioni articolati tra loro formano un corpo il cui scheletro strutturale è velato da membrane porose come pelle, non ancora organo sensorio ma spazio topologico che produce relazioni, “luogo comune” su cui orientare le sensibilità. I teli sono tessuto connettivo che agisce da tramite approssimando il dentro con il fuori e facendoli partecipare l’uno dell’altro. I colori e le forme delle rappresentazioni visive funzionano da richiamo, rimanendo soltanto intuibili dall’esterno, in attesa del contatto che avviene facendosi incorporare dall’installazione. Una volta dentro il cannocchiale visivo è smembrato per evitare la percezione sinottica, bisogna percorrere i segmenti per sperimentare la prossimità con i fragili mondi contenuti nelle opere esposte. Bisogna diventare parte di quel corpo da artropode mescolando le proprie gambe agli esili sostegni verticali affinché avvenga il mélange e si compia l’ibridazione. Accade allora che mentre attraverso il telo/tessuto connettivo siamo percepibili come parte dell’installazione/paesaggio, essa si insinua nei nostri sensi attraverso la pelle e nel contatto tutti i sensi si scambiano con un sensibile che è tutto:[…]il sensibile in generale è identicamente la presenza costante e la fluttuazione di circostanze cangianti nella corona o aureola adiacente al corpo, attorno ai suoi limiti o bordi, al di là o al di qua della pelle o superficie, nube attiva, aura nella quale hanno luogo i mélanges, cernite, biforcazioni, scambi, cambiamenti di dimensione, passaggi dall’energia all’informazione, collegamenti e scioglimenti, in breve tutto ciò che connette l’individuo locale e singolare alle leggi globali del mondo e agli svariati ondeggiamenti della sua nicchia mobile (Serres, 1985).

Il testo citato è tratto da: Michel Serres, Les cinq sens, B. Grasset, Paris, 1985.

Progetto installazione: arch. Taryn Ferrentino.

Opere di: sezione fotografia / Errico Baldini, Veronica Barbato, Monica Benassi, Serena Biagini, Oleñka Carrasco, Chiara Capobianco, Sandra Ceccarelli, Sara De Luca, Iara Di Stefano, Serafina Figliuzzi, Mirko Frignani, Fiorella Iacono, Michela Mariani, Antonio Verrascina; sezione video / Alessandro Focareta, Carlo Iavazzo-Valentina Ciniglio, Roberto Pisapia, Amalia Violi; sezione arte digitale / Singoltone, Yorsh.

Grazie a: Alessandra Calò, Stefania Carretti, Riccardo Caspani, Giuseppe Cordaro, Maria Teresa Grillo, Rosalba Maio, Matteo Meschiari, Cinzia Pietribiasi, Chiara Rigione, Pierluigi Sgarbi, Elisabetta Spadaccini, Pierluigi Tedeschi, Giulio Vetrone, Federica Zambelli.