I ruderi del Mulino di Prata erano completamente occultati dalla vegetazione ne abbiamo appreso l’esistenza nel 2009 grazie a un attivo assessore del Comune di Cautano (BN) in occasione dell’opportunità di partecipare all’assegnazione del bando regionale. Ne abbiamo ritrovato traccia in una Planimetria dei beni assegnati a Cautano del 1853 da cui si evince che lo stesso faceva parte di un sistema esteso fra Tocco Caudio e Vitulano di strutture simili utilizzate per il taglio della pietra di marmo disposte lungo il corso di torrenti
Nonostante sia molto vicina ad una delle zone più antropizzate del parco, l’area dei resti ha un’elevata naturalità per la vicinanza al torrente Ienca che ne nutre la vegetazione rendendola quasi impenetrabile seppure l’antico tratturo fosse al tempo della progettazione ancora riconoscibile. Per questo quando il progetto è stato approvato (2012) avevamo ancora un’idea vaga di ciò che avremmo trovato e lo abbiamo scoperto nel 2015 quando è finalmente arrivato il finanziamento e si è dato avvio ai lavori.
Durante le operazioni preliminari di diradamento della vegetazione che incombeva sui resti e la pulizia dal terreno e dai materiali di riporto dilavati nei decenni dalla scarpata soprastante ci siamo resi conto che l’entità dei resti era cospicua: una grande emozione è stata rinvenire sotto al piano della cisterna di accumulo il canale lapideo che faceva confluire le acque al locale delle ritrecine permettendo il funzionamento della macina soprastante.
Seppure si trattasse di un’architettura rurale la fattura denunciava il lavoro di mani sapienti. Ci è sembrato importante restituire l’opera all’intera comunità, così nonostante l’importo lavori fosse davvero minimo abbiamo proceduto al consolidamento di tutte le porzioni murarie superstiti e al parziale ripristino delle parti crollate. Affinché risultasse riconoscibile si è poi dato luogo alla sistemazione della porzione di scarpata su cui insiste il mulino e che formava parte, a monte e a valle delle opere murarie, del sistema di incanalamento delle acque che ne permettevano il funzionamento. Per finire è stato ripristinato l’antico tratturo, riportandolo al suo originale tracciato attraverso la consultazione di cartografia storica, ed è stato realizzato un sistema puntuale di luoghi di sosta e discese al torrente Ienca.
Abbiamo utilizzato massi e pietrame di recupero rinvenuti in loco e posati a secco, legname di castagno locale, terra compattata, in un’economia di risorse e materia propri delle realtà agricole, animati dalla convinzione che il territorio montano è una risorsa di bellezza per la comunità. Dalla natura abbiamo preso in prestito materiali e forme restituendo luoghi pubblici di contemplazione della montagna.
La natura si sta nuovamente impossessando dei suoi luoghi e forse è così che deve andare. L’economia delle centralità lascia indietro i margine e l’assenza di risorse pubbliche è la risposta già servita a ogni atto di incuria. Forse le comunità che hanno ricevuto in dono un’opera dovrebbero cominciare a prendersene cura per chiudere un ciclo?
Il progetto è stato finanziato dalla Regione Campania nell’ambito del Progetto Integrato per Aree Protette (PIRAP) rivolto ai comuni il cui territorio ricade nel Parco Regionale del Monte Taburno-Camposauro. L’importo complessivo dei lavori è stato € 88 373,29.
Progettazione e direzione lavori: arch. Taryn Ferrentino, arch. Domenico Rapuano